A cura di Donatella Fazzino
La bellezza delle cose esiste nella mente che le contempla.
(David Hume)
Mostratemi un uomo sano di mente e lo curerò per voi.
(Carl Gustav Jung)
Cosa si intende esattamente per Intelligenza Emotiva?
Il termine fa riferimento ad una serie di studi condotti in alcune università degli Stati Uniti nell’ultimo scorcio del XX secolo. Studiosi del calibro di Howard Gardner, Peter Salovey, Robert Sternberg, Daniel Goleman, Joseph LeDoux, Antonio Damasio, hanno cominciato ad indagare quale sia il rapporto che intercorre fra mente razionale ed emozioni, aprendo in tal modo la via ad un vasto campo di indagine che ancora oggi vede ogni anno apparire nel panorama degli studi di settore contributi scientifici sempre nuovi e qualitativamente assai rilevanti.
La domanda di partenza è la seguente: “È possibile portare l’intelligenza all’interno delle emozioni?”. O meglio: le emozioni sono date una volta per tutte, l’individuo le “subisce” (il riferimento è alle emozioni negative, ovviamente) senza poter in alcun modo intervenire, oppure è possibile selezionare una determinata risposta emotiva, o almeno attenuarne la portata?
La domanda è interessante e le risposte dei ricercatori hanno l’obiettivo di chiarire una volta per tutte se sia impossibile per l’uomo operare delle scelte nel campo delle risposte emotive automatiche, o se invece il sistema neurologico collegato alle emozioni (il cosiddetto cervello emotivo, il sistema limbico costituito principalmente da talamo, amigdala e ippocampo) possieda una sorta di “doppio circuito” che sia in grado di bypassare la risposta emotiva immediata per selezionare una reazione che coinvolga anche cuore e cervello.
Già, perché proprio questo – in maniera sorprendente ed inaspettata – è venuto fuori dall’immensa mole di studi. A “placare” un’emozione negativa su cui si desideri intervenire non è tanto e solo il cervello (e quindi la riflessione razionale), quanto piuttosto il cuore (e cioè un allargamento della prospettiva che prenda in considerazione una visione globale della situazione e le ragioni di tutti gli attori in campo). Come a dire: finché penso solo a me stesso la mia risposta emotiva non può che essere automatica, o tutt’al più leggermente attenuata dalla razionalità. Se invece sono in grado di includere tutti gli attori in gioco ed abbracciarli idealmente in una visione complessiva, ecco allora che il mio stato emotivo può subire una trasformazione profonda ed un’inversione di tendenza.
Già Joseph LeDoux (Il cervello emotivo, 1996) aveva parlato di una “via bassa” e di una “via alta” per le emozioni, a seconda che la risposta emotiva fosse puramente istintiva (“via bassa”, talamo-amigdala), oppure istintivo/razionale (talamo-neocorteccia-amigdala).
Gli studi oggi si sono spinti più in là ed è emerso che esiste una “terza via” per la gestione delle emozioni: quella che chiama in causa cuore e sentimenti. È merito principalmente dell’Istituto HearthMath® (Boulder Creek, California) avere indagato – grazie alla nascente neurocardiologia – il funzionamento del “piccolo cervello” del cuore, dotato di propri circuiti neurali (circa 40.000 neuroni) e di un potente campo elettromagnetico. In base alle risultanze di tali studi – effettuati grazie all’ausilio di strumentazioni tecnologicamente all’avanguardia – si è potuto osservare cosa accade quandoil campo elettromagnetico del cuore influenza quello del cervello. In determinate circostanze, infatti, il cuore è in grado di generare un segnale che ha le caratteristiche della “coerenza”, ovvero emette un battito cardiaco dal ritmo armonioso e ordinato, capace di produrre un tracciato simile a una curva a onde sinusoidali. Dal momento che il campo elettromagnetico del cuore risulta essere 40-60 volte più potente di quello del cervello, una volta generato lo stato di coerenza cardiaca questo sarebbe in grado – stando a ricerche e sperimentazioni tuttora in corso – di modificare in maniera sostanziale le risposte emotive istintive o debolmente mediate dalla neocorteccia.
La “terza via” nella gestione delle emozioni consisterebbe pertanto nella focalizzazione intenzionale e volontaria sul centro del cuore e su sentimenti elevati (quali ad esempio amore, pace, gratitudine, ecc.) e nella susseguente induzione di uno stato di “coerenza” del ritmo cardiaco: una tale semplice operazione permetterebbe un intervento diretto e significativo sulla gestione dell’emotività. Sembra addirittura che siano sufficienti solamente tre minuti di rilassamento, rallentamento del respiro e concentrazione sul cuore per produrre il tanto agognato stato di coerenza. Gli studi appena citati sono davvero recenti e ci auguriamo che siano presto resi noti al grande pubblico, in modo da estendere i benefici dello stato di coerenza cardiaca al maggior numero di persone. La nostra società – che sta attraversando una crisi di identità e di direzione che non ha uguali nella storia – ne ha davvero urgente bisogno.